La Canopic della Canard Line arriva nel porto di Torre Annunziata. Tra ammassi di reti e carrozze pronte al trasporto delle merci e allo scarico della pasta, i marinai britannici, appena sbarcati, lanciano una nuova moda: il football. Una sfera di cuoio, cucita a mano, diventa “oggetto misterioso” da prendere a calci e da studiare. Ci riescono in pochi. Prendere a pedate un pallone sembrava una passione per tipi strambi. E’ il nuovo sport, diverso da quelli in auge ai primi del novecento: ciclismo, podismo e nuoto.
Torre Annunziata scopre così il gioco del calcio ed il primo “campo” diventa proprio il porto. La “Manchester del Sud”, così come venne definita Torre Annunziata, diventa il polo commerciale e industriale, dopo Napoli, più importante dell’Italia centro-meridionale.
Torre Annunziata è la culla dei maccheroni, apprezzati in Italia e in Europa. Lo sport fa capolino tra industrie e pastifici, e il primo campionato è quello di podismo: Aurelio Trama si impone a livello regionale.
Il Savoia nacque come polisportiva nel 1908: un gruppo di proprietari di molini e pastifici, insieme ad altri personaggi della media borghesia torrese, fondano l’Unione Sportiva Savoia.
Non esistono documenti ufficiali che spiegano l’origine della denominazione. Le ipotesi sono tre. La prima fa risalire il nome al tipico incitamento dei soldati sabaudi: “Avanti Savoia!”. La seconda, puramente politica, in omaggio alla famiglia regnante. L’ultima, lega il nome del soladizio a quello del locale cinematografo, sede della storica riunione fra i soci-fondatori.
Per i colori sociali, si sceglie il bianco, colore della materia prima dell’economia torrese: la farina. Il primo campo di gioco è uno spiazzo sulle “Montagnelle”, una catena di rocce laviche, con paurosi avallamenti.
All’inizio il calcio fu quasi esclusività di studenti e figli di papà. Poi le file si ingrossarono e si aprirono anche ai “popolani”. I pionieri furono: Michele Di Paola, Andrea Bonifacio – preso dall’uzzolo in età matura tanto che lo si conosceva meglio come “il nonno”- Renato Zurlo, Mario De Gennaro, Salvatore Jovine, Luciano Saporito, Italo Moretti, Gennaro Fiore – il sarto alla moda, allora – Fornara, Ciccio Carlucci, Alberto Saporetti, Luciano Saporito, Michele Zinno, Leonida Bertone più albino che mai e che continuò arbitro di primissimo piano, Giovanni Calabrese (e qui chiediamo venia per qualche immancabile omissione).
Le prime furono sfide paesane, poi con i patiti di Castellammare, di Napoli, con gli equipaggi della navi inglesi che attraccavano ai moli del porto. Per rinforzare la squadra si ricorse a dei vercellesi che lavoravano nello Spolettificio, inaugurando una tradizione che specie negli anni a cavallo del trenta doveva rafforzarsi ed acquistare al Savoia i servizi di giocatori quali Vandelli, Bredo, Mantovani, Ravizzoli, Tacchinardi ecc. che cambiarono alquanto il carattere della squadra che, agonisticamente ultraspinto, si diede anche alle belle trame ed alle manovre eleganti. I prelevati dallo Spolettificio si chiamavano Zanin, Lovato e Baiardo il cui nome era già tutto un programma: ed era in effetti un centroattacco che i pali (ma erano più esili, allora) come fossero fuscelli, li spezzava.
Nel dopoguerra il Savoia si “regolarizzò” iscrivendosi ai campionati federali. Nel 1920 si inaugurò il Campo Oncino. La squadra aveva assorbito la consorella Pro Italia nelle cui file militavano Arturo Vecchi, Rocco D’Andrea e Raffaele Marinaro, tra gli altri. Madrina della cerimonia fu la signorina Luisa De Nicola, figliuola prediletta di don Ciccio, l’animatore dello sport torrese. I presidenti passavano, don Ciccio restava tutore sempre pronto a scucire i cordoni della borsa nei momenti critici. Per salutare la squadra si spararono ventuno colpi di mortaretti. L’abitudine è rimasta. La Salernitana “inguaiò” la giornata, vincendo per uno a zero. I torresi fecero frutto di una amara lezione. Da quel giorno cominciò, infatti, l’ascesa.