Improvvisamente, poi, come sempre, alla fine degli anni ottanta il risveglio clamoroso. La squadra è di nuovo senza campo perché il “Giraud” deve essere ristrutturato: qualche anno di purgatorio, si pensa, e poi uno stadio rimesso a nuovo, rigenerato, con manto erboso e servizi degni di un impianto moderno. Macchè, si dovrà aspettare sino agli anni ’90, per veder realizzata l’opera. Nel frattempo la squadra non muore. Grazie soprattutto a Gigi Farinelli, ultimo rampollo di una dinastia di savoiardi doc, guidata dal mai troppo compianto Sandrino che negli anni sessanta tanto vicino a Lello Pagano si era trovato. E pure ex giocatore del Savoia, esordio in C nel 1967 contro una fenomenale Salernitana dei Cominato, Minto e, soprattutto, Pierino Prati, autore di una doppietta prima di essere azzoppato gravemente (ma non volutamente), dalla roccia Genisio. Si era nel disgraziato campionato di C susseguente alla doppia scalata dai dilettanti (allora Promozione) alla serie D e poi alla C dell’era Pagano-Faraone Mennella. Un Savoia dai tanti piedi buoni (Ferrari, Inferrera, Franzini, Bodi, Esposito) capitolò al Nardò nello spareggio al Flaminio di Roma, dopo aver dilapidato un vantaggio di ben cinque punti sulla diretta concorrente nelle ultime tre gare, e in seguito ad uno sciagurato autogol del suo centroavanti, Paolone Rossi, comunque un idolo dei torresi non fosse altro che per la sua grande generosità, ahilui non accoppiata ad una tecnica certamente sopraffina. In quel Savoia Gigi Farinelli giocò una partita, quella con la Salernitana appunto, in seguito all’ennesima squalifica del titolare Roi (grande portiere, ma anche grande attaccabrighe) ed all’indisponibilità del nebuloso Boesso che, benchè recordman nell’anno precedente, era stato sostituito, tra polemiche e “ngiuci” vari dall’ex nocerino. Successivamente ritornò nei ranghi disciplinatamente, ma quell’esperienza dovette temprarlo tanto da farlo innamorare della maglia. Gigino è un testardo combattente, un innamorato del calcio sin dagli anni dell’oratorio salesiani retto da Don Gambardella e Don Valastro: prende la squadra e la fa giocare dovunque ci sia disponibilità, sino ad approdare nientemeno che a Torre del Greco, al “Liguori” dove rivalità ed imbecillità non vengono ancora coniugate dalle frange estreme delle due tifoserie, separate oltretutto da due serie di differenza. La Turris, dopo la scoppola rimediata nel ’70 dal Savoia che riuscì a sorpassarla a campionato finito, grazie alla sentenza di illecito sportivo che la penalizzò dei punti necessari a perdere il campionato di D a vantaggio di un altro fenomenale Savoia (quello dei Malvestiti e Villa, Peressin e Busiello, con alla guida Zanotti ed alla presidenza Giannino Russo), si era data una serie struttura dirigenziale, allontanando il vulcanico Di Maio dalla presidenza, al contrario del Savoia che, conquistata la C, in due anni dilapidò un patrimonio di entusiasmo e di onorabilità che lo aveva sempre contraddistinto, precipitando nell’anonimato delle serie dilettanti, pieno di debiti e nessuna credibilità. La rivalità si era ormai sopita, quindi, ed il Savoia, anche grazie alle buone maniere di Farinelli, era riuscito almeno ad essere “ignorato” dalla platea “corallina” disputando un campionato a dir poco entusiasmante in quel di Torre del Greco. Guidato da Mario Schettino, atletico ex giocatore di un Paternò molto conosciuto a Torre (non fosse altro che per il fatto che la prima partita del campionato di ‘D’ che poi si vinse, nel 1964, si disputò proprio a Paternò) un gruppo di ragazzi dalla grande voglia di fare e dalla buona tecnica, riesce così ad infilare le due squadre di Castellammare, la consolidata Juve Stabia e la nascente rivale cittadina Stabia ultra favorite del girone, grazie ad una serie impressionante di vittorie da metà campionato in su. Artefice di quel Savoia sbarbatello ma rullo compressore un trio di centrocampo dalle grandi doti podistiche e caratteriali e dai piedi buoni: Marasco, torrese purosangue, che ultimamente ha giocato in serie A, Falanga e Di Rosa, ma anche Aruta, centroavanti cannoniere che in una sola partita, con gli sprovveduti del Chiaravalle, squadra calabrese, segna la bellezza di cinque reti, con il Savoia che ne fa addirittura quindici. La partita dell’apoteosi finale si svolge a Portici, altro campo molto frequentato dal Savoia degli anni a venire, contro il Praia a Mare e si conclude con un 4-1 netto, ancorchè messo in forse all’inizio da un gol improvviso degli avversari; che poi sono regolarmente surclassati. Il pubblico ricominciò a farsi notare sugli spalti e l’entusiasmo si risvegliò subito. Ma Maradona a Napoli furoreggiava ed a Torre mancava sempre uno stadio per cui il Savoia si ritrovava sempre e soltanto con i suoi irriducibili supporters, senza la gran massa che preferiva il ‘pibe de oro’ ad ogni altra cosa. Ragion per cui, senza campo, con scarso pubblico, senza imprenditori coraggiosi ad affiancare i fratelli Farinelli, il Savoia non poteva che vivacchiare in C2 senza porsi grossi traguardi. In quegli anni sbocciarono comunque nuovi idoli, come Totò Bertuccelli, irriducibile cecchino partito riserva ma, a campionato bello e iniziato, capace di diventare un punto fermo della squadra. Clamorosi i tre gol che rifilò ad un malcapitato Enna in quel di Castellammare, campo scelto per l’esilio del primo anno in C2, uno bellissimo in contropiede su di un lancio alla Suarez di Marasco. Talmente bello il gol che Piepaolo Marino, allora ds dell’Avellino, osservatore per il Commendator Sibilia, prese entrambi gli autori dell’azione e se li portò l’anno successivo ad Avellino, a giocare in ‘B’. La dolorosa rinunzia servì ai Farinelli per tirare avanti ancora un anno senza grossi patemi, pescando un altro campioncino a campionato iniziato rispondente al nome di Marino, centroavanti del Lodigiani, che l’anno successivo tornò a Roma e sfidò Juve Stabia e Salernitana nei Play-off della C1 vinti in modo netto dalla Salernitana. Successivamente si trasferirà ad Udine (in A) e poi al Brescia. L’anno di Marino fu a fasi alterne: iniziò male, con Zurlini allenatore sostituito dal tecnico della primavera Fabiano, continuò benissimo per un certo perido, ma poi si concluse malissimo, con lo spareggio-salvezza con il Licata, al termine del quale il Savoia retrocedeva di nuovo tra i dilettanti. L’illecito sportivo attribuito alla squadra siciliana, che aveva vissuto anni di fulgore con Zeman allenatore ma che negli ultimi tempi viveva solo di ricordi e nulla più, e il controllo dei bilanci da parte della Federazione consentirono al Savoia ed a Farinelli di ritornare in C2. Ma il personaggio non ce la faceva più, e cominciò l’interregno, breve, di tal Viglione, farmacista o marito di farmacista, non so bene, che tentò l’avventura che in seguito dovrà riuscire tanto bene ai fratelli Moxedano. Fatto sta che nel campionato successivo, Viglione cedette la società ad una cordata di professionisti ed imprenditori guidata da Franco Salvatore, figlio di Crescenzo, un politico doc degli anni sessanta, prematuramente scomparso. Così come in tante altre occasioni, inopinatamente, il Savoia trova un altro personaggio vincente. E vincerà ancora…
Superata la paura della retrocessione in C2 il Savoia trova un’altra pietra miliare in Gigi De Canio, un giovanissimo tecnico materano che, in punta di piedi e con la modestia che lo caratterizza, riesce nell’ennesima impresa di riportare la squadra nel calcio della C1, anticamera del calcio che conta, quello professionistico a tutto tondo. Chiamato a guidare una squadra non esaltante sulla carta, comincia a lavorare tra qualche indifferenza, sottoponendo i giocatori a sedute soprattutto “tattiche” onde infondere in essi il suo credo, fatto di un calcio zonarolo ma non esasperato al punto di trascurare la difesa tutto per l’attacco. E’ il classico benpensante il De Canio, pragmatico quanto occorre ma anche ambizioso, e la sua carriera lo conferma: Siena, Carpi, Lucchese, Pescara ed addirittura Udinese, in serie A e Coppa Uefa, per adesso. Il campionato non inizia granchè bene, ma la spinta del pubblico e l’applicazione dei giocatori fanno sì che la squadra migliori di partita in partita, mettendo in mostra dei difensori di sicuro rendimento quali Raimondo, Savino e Ciardiello sopra tutti, un centrocampo duttile che ha potenza e presenza in Amura ma un attacco inizialmente con le polveri bagnate, non essendo Codice un centroavanti capace di mettere a segno molte reti. A dargli una mano vengono gli innesti di Donnarumma e soprattutto di Lunerti, vecchio lupo dell’area di rigore il cui impiego alla Altafini dell’ultimo suo periodo juventino, cioè con spezzoni di partita soprattutto nel finale, fa sì che vengano esaltate le sue doti di realizzatore spietato. A completare l’opera avviene la scoperta di Salvatore Ambrosino che fa capolino in squadra nel girone di ritorno, assicurando con la sua presenza classe e dinamismo al centrocampo. Ottimo anche il comportamento del portiere Visconti, un beniamino del pubblico che si esalterà soprattutto nella finale-promozione di Foggia. Venendo fuori alla distanza, il Savoia alla fine del torneo regolare, risulta così secondo solo a Nocerina e Matera, la prima promossa direttamente, mentre la seconda, forte dei suoi Landonio, D’Ersilio e, soprattutto, Tatti, appare senz’altro non alla portata del Savoia. Che termina a pari punti con il Benevento al terzo posto ma per gli spareggi Play-off risulta un gradino più sotto degli stregoni a causa dei risultati degli incontro diretti, favorevoli a questi ultimi per un gol segnato all’ultimo minuto nella partita al Santa Colomba. A completare la rosa dei partecipanti ai Play-off vi è la rivelazione del torneo, l’Albanova di Casal di Principe che disputa le due partite con il Matera, venendo battuta di misura in Lucania e pareggiando in casa. Il Savoia costituisce l’autentica mina vagante del mini torneo. Vi è arrivata con una freschezza atletica invidiabile, con i nervi distesi di chi ha nulla da perdere e con il seguito di numerosi ed entusiasti tifosi che gremiscono il “Giraud” nella prima partita di Play-off, sospingendo la squadra a travolgere il Benevento, per due reti a zero. Il ritorno a Benevento sembra una pura formalità, ma inizialmente non è così, visto che il Benevento segna subito e capovolge la situazione psicologica in suo favore. Ci pensano comunque Lunerti e Donnarumma a mettere le cose a posto, tanto che il Savoia pareggia e passa in vantaggio, spegnendo subito le velleità degli stregoni. La partita finisce 3-3, alla fine si defluisce in modo tranquillo dallo stadio, grazie ai buoni rapporti che le due tifoserie intrattengono da tempo, essendo gemellate e ci si prepara alla sfida con il Matera, con qualche preoccupazione in più, visto che l’appetito vien mangiando. Per la verità le disastrose condizioni economiche in cui versa la squadra lucana, lasciano aperti altri spiragli di raggiungere lo stesso la promozione, ma comunque la partita occorre giocarsela a viso aperto in quel di Foggia. E la partita il Savoia se la gioca effettivamente a viso aperto, visto che passa in vantaggio con il solito Lunerti dopo una decina di minuti, su punizione e sembra reggere bene al ritorno della squadra materana; un ritorno poderoso, da squadra di razza. Su tutti emerge Tatti che Savino non riesce a contenere sulla fascia sinistra e solo Raimondo e Visconti riescono in più occasioni a salvare il Savoia. Che capitola comunque sul finire del primo tempo e sembra dovere soccombere. Nella ripresa invece avviene il contrario, la squadra, corretta opportunamente da De Canio, guidata da Raimondo, Amura e Lunerti sul campo, riesce a segnare di nuovo con Donnarumma e poi a resistere, grazie soprattutto a Visconti, sino alla fine. E’ un trionfo incredibile per De Canio ed il presidente Salvatore. I tifosi dedicano ai propri beniamini festeggiamenti e riconoscimenti a non finire. L’entusiasmo contagia proprio tutta la città. Il Savoia è di nuovo nella serie C che conta, la C1, raggiunta grazie alle proprie forze e, soprattutto, in modo insperato. La società però non sembra pronta al salto di qualità, non ha avuto il tempo per prepararsi mentalmente all’evento e poi non si dispone di un impianto sportivo all’altezza, in quanto i famosi lavori di ristrutturazione del “Giraud” continuano ad andare a rilento, o sono del tutto fermi. De Canio, dal canto suo sfrutta il momento favorevole e decide di andare per altri lidi, quelli del Nord, a Siena dove allenerà una compagine comunque di C1 ma inserita in un ambiente più evoluto, di più facile “appeal” per i grossi club. Il Savoia è cioè considerato un miracolo, qualcosa di passeggero un po’ da tutti, forse compresa la maggior parte dei torresi. Non certo i meravigliosi “supporters” o “fedelissimi” che non vedono l’ora di entrare nel calcio che conta, di misurarsi con le consorelle campane che da anni, sorrette da strutture almeno decenti se non da società modello, battagliano con alterne vicende ma sempre presenti nei campionati che contano. Iniziano allora le pressioni presso il Comune perché si muova per lo stadio e si mettono loro stessi alla ricerca di soluzioni societarie. Una di queste è quella dei fratelli Moxedano, Salvatore e Mario, che hanno sete di rivincita nei confronti di chi li ha estromessi dal Napoli in modo a dir loro indecoroso, dopo averli usati. Inizia così l’avventura più esaltante per il Savoia. L’avvento dei fratelli Moxedano darà alla società compattezza esolidità e si comincia subito a sognare addirittura la B.
L’avventura dei Moxedano a Torre Annunziata comincia in uno strano modo. Innanzitutto a campionato già iniziato. La promozione in C1 ottenuta dalla squadra condotta da De Canio e con la società pilotata da Franco Salvatore era stata tanto inaspettata quanto esaltante. I tifosi, giustamente, cominciavano ad avere il palato fino. Dal ‘90 al ‘95, ben tre vittorie in campionato, dalla Promozione alla C1, avevano un po’ disorientato i tifosi: dal rischio della scomparsa al Paradiso della C1. Ci si poteva accontentare di rischiare di fare il salto del gambero ancora una volta? No di certo ed allora, appena si presenta la possibilità che a rilevare la società vi siano persone ambiziose, di un certo nome nel campo dello sport ad alto livello, i tifosi sposano subito l’idea, la fanno propria e fanno di tutto per farla diventare realtà. Le trattative per la cessione della società sembra siano state alquanto laboriose e, a detta di una delle due parti, non del tutto corrette. Sta di fatto che in meno di due mesi la società passa di mano e nelle mani che i tifosi volevano, quella dei fratelli Moxedano. Grande fiuto hanno, come al solito, e soprattutto grande partecipazione attiva. A quanti paventano un allontanamento della squadra da Torre, una possibilità di distacco dalle origini di una cosa che, si è visto, appartiene alla gente di Torre, fa parte del suo DNA, i tifosi “avanguardisti” rispondono di pazientare, che le cose andranno prima o poi bene anche da questo lato e, come al solito ci azzeccano. Il Savoia che inizia il primo campionato dell’era Moxedano è un Savoia che parte subito male a causa di una programmazione non certo curata nei minimi particolari: la squadra uscita fuori dalla campagna acquisti estiva è appena diversa in qualche ruolo da quella che ha vinto il campionato precedente, con un tecnico, Gianni Improta, che, come Agroppi, si dimostrerà molto più bravo a commentare le partite che ad impostarle dalla panchina. Due sconfitte in casa subito, la seconda anche immeritata, con il Trapani e subito via. Così comincia e subito finisce Improta. La squadra conta ancora sui vari Lunerti, Amura, Visconti, Raimondo, Tarantino, Di Cunzolo cui si affiancano Pontis, Tisci e Landonio ma i Moxedano dimostrano subito la loro ambizione, facendo calare a Torre un pacchetto di giocatori dalla personalità e dal passato veramente doc: Carruezzo, Altobelli, Circati, Compagnon, Pedro Mariani e, più tardi, Evangelista, il portiere Amato, De Rosa e Baldieri. E’ una squadra, si pensa, che ha bisogno solo di un nocchiero valido e la serie B non è un miraggio. Sarà invece proprio un miraggio, ancorchè l’intelaiatura della squadra rimanga valida, un po’ perché il nocchiero scelto, Orazi ex giocatore della Roma e già vittorioso in un campionato alla guida del Palermo, non si dimostra degno, un po’ perchè l’inesperienza si paga sempre anche a livello dirigenziale, molto perché la squadra, molto tecnica, trova difficoltà a giocare su di un campo che alle volte sembra di patate e con spalti sempre ridotti a cantiere edile e non riesce mai ad amalgamarsi completamente, anche nello spogliatoio. Sta di fatto che, malgrado l’allontanamento dalla panchina di Improta, tecnico, si badi, non scelto dai Moxedano e quindi destinato prima o poi a “saltare”, malgrado la squadra inizialmente sembri risvegliarsi sotto la guida di Orazi ed a migliorare col passare delle giornate, la classifica non viene mossa di molto e si è sempre ai margini della zona play-off, ed anzi molto prossimi a quella play-out. Il risultato è che anche Orazi fa le valigie ed a sostituirlo viene richiamato Improta che, con accanto Magagnotti, riesce a pilotarla almeno fuori della zona play-out, raggiungendo il minimo dei risultati sperati da Moxedano e soci. La squadra, si diceva, è costituita da ottimi giocatori. In particolare impressiona Pedro Mariani, un libero dalla grande personalità che riesce a scalzare dal ruolo un signor giocatore come Raimondo e si impone subito per le sue doti tecniche, ma anche Altobelli, Tisci, Baldieri e soprattutto De Rosa non sono da meno. Quest’ultimo, partito da centrocampista, ben presto fa scopa con Landonio e solo nella partita di Roma con la Lodigiani, in seguito all’espulsione di un falloso e macchinoso Circati, passa in retrovia a fare il centrale difensivo rivelandosi un autentico fuoriclasse nel ruolo. L’allenatore è ancora Orazi, si badi, ma quando ritorna Improta sulla panchina, si ritrova un De Rosa super che, in coppia con Mariani, ben presto esautora Circati e dà sicurezza al reparto, forse anche troppa alle volte. Delude molto Baldieri che, a fine carriera, non dimostra che raramente tutta la sua classe (per esempio nella partita di Sora), mentre Evangelista, Amura e Tarantino fanno la loro parte senza peraltro entusiasmare e si deve aspettare un bel po’ prima che si svegli del tutto Carruezzo, un centroavanti che entra a buon diritto nella galleria dei preferiti dai torresi, per la sua straordinaria generosità e la su forza d’urto. Ha vicino una “farfalla”, Vadacca, che, con Donnarumma non riesce a completare bene il reparto, per cui la sua generosità non sempre risulta ben finalizzata ed assecondata. Per finire, Tisci, un campioncino proveniente dal Genoa che promette molto ma che, e lo dimostrerà anche negli anni a venire in altre squadre, parte bene ma non riesce veramente a sfondare, e Salvatore Ambrosino che il primo anno di C1 consacra giocatore dalla grande personalità e dal sicuro avvenire.
Si passa così alla seconda fase dell’era Moxedano, quella caratterizzata dal consolidamento delle ambizioni dei fratelli di Mugnano. I due decidono infatti di dare una svolta netta alla Società. Per prima cosa la organizzano in modo manageriale, chiamando accanto a loro persone di fiducia come Iodice e Ciro Fiore, le danno una sede che, seppure nel deserto di Mugnano, ha tutti i confort necessari, compreso un campo di allenamento per i giocatori, e vi trasferiscono anche il settore giovanile che pure negli anni ’80 aveva dato tante soddisfazioni in quel di Torre. Appare evidente che il Savoia si configura sempre più come un’occasione di rivincita per i Moxedano, una sfida lanciata nei confronti di chi li ha estromessi dal Napoli, tanto che comincia a circolare voce che diventerà la seconda squadra di Napoli. I Moxedano tentano cioè quello che non era riuscito negli anni ’70 al Commendatore Proto con l’Internapoli, e sì che dietro quella società vi era un quartiere di Napoli dalla grandezza di una città come il Vomero, ed un campo di gioco, il Collana, monumento cittadino. L’impressione (?) è confermata dal fatto che, perdurando le difficoltà a ristrutturare a Torre il “Giraud”, il terreno di gioco ufficiale diventa il San Paolo, una struttura, cioè, abituata ad ospitare più di cinquantamila persone la domenica e che col Savoia viene riempito solo in una parte dei distinti e della tribuna centrale, con il resto desolatamente vuoto. La squadra però che viene messa in cantiere è ancora una volta di tutto rispetto, guidata da un tecnico che ha avuto un quarto d’ora di celebrità quando, alla guida del Pontedera e chiamato ad affrontare in amichevole la Nazionale di Arrigo Sacchi, riesce addirittura a batterla. Il tecnico è D’Arrigo e la squadra può contare, oltre che su De Rosa e Carruezzo, anche su di un portiere dalle grandi potenzialità e doti acrobatiche, Morrone, sul ritorno di Marasco a centrocampo e su di una punta che affianca Carruezzo, Toni Barbera, che all’inizio fa veramente sognare i tifosi. In difesa forse manca qualcosa: i terzini, Scaringella, trasferito spesso in mediana, e Compagno non sono eccezionali e troppo spesso lasciano scoperta la loro zona, portati come sono all’attacco dal modulo del tecnico, ma De Rosa, il giovane Porchia e il nuovo innesto Veronese sopperiscono in terza linea alle loro mancanze ed a centrocampo D’Antimi, Ambrosino e la “formica” Cecchi assicurano comunque un filtro sufficiente. Fatto sta che il Savoia parte alla grande ed il canto dei tifosi di “Voleremo in B, voleremo in B” che lo accompagna sembra proprio intonato. A metà torneo però qualcosa si inceppa, in particolare dal rigore mancato da Barbera con la Nocerina in un S.Paolo avvolto di bianco laddove sono presenti spettatori. Il resto lo fanno Battaglia, Morrone che si fa espellere in seguito ad una “presa” ben fuori della sua area di competenza ed un arbitro dispettoso che concede due rigori in pochi minuti ai “molossi” consentendo loro di violare il S.Paolo e di infliggere una mortificante (per i tifosi) sconfitta al Savoia. Come per incanto, la sicurezza sfoggiata dalla squadra nelle prime partite svanisce, tanto che, al ritorno dopo la pausa natalizia in campo, in quel di Roma, contro una Lodigiani sempre difficile da inquadrare ed affrontare, con un portiere praticamente inesistente tra i pali (Morrone, squalificato, è sostituito dal giovane Corcione) si buscano ben cinque “pappine” ed incomincia una crisi tecnica preoccupante. E’ il periodo in cui l’Andria, guidata in panchina da un tecnico preparatissimo quale Papadopulo e sul campo da Pedro Mariani e Biagioni prende il largo, mentre al Savoia non resta altro che guardare ai play-off, che comunque raggiungerà finendo al terzo posto, dietro anche al fortunato, e non solo, Ancona ma prima di Giulianova ed Atletico Catania. I Play-off finalmente raggiunti si inaugurano a Catania e vedono una massiccia partecipazione di torresi che, con mezzi propri o con un treno speciale, invadono il “Cibali” e praticamente consentono alla squadra, già di per sé abituata al campo neutro, di giocarsi alla pari la partita. Dopo un inizio un po’ preoccupante, e con un palo colpito dagli etnei, il Savoia prende le misure dell’avversario e, sotto un acquazzone terrificante, lo grazia addirittura in alcune occasioni. La partita è impattata e nel ritorno al S.Paolo un gol di Landini, che piano piano aveva preso il posto di un sempre più spento Barbera, su azione prorompente del capocannoniere del torneo, Carruezzo, basta a superare l’Atletico e ad affrontare in finale l’Ancona, vittoriosa nel derby con il Giulianova, come da pronostico. Il 26 giugno 1997 allo Stadio Olimpico, diviso a metà, una curva tutta rossa, la Sud della Roma ed una tutta bianca, quella della Lazio, Savoia ed Ancona si giocano il posto in Serie B, in una partita stregata per il Savoia. Dopo un primo tempo di attesa, infatti, i bianchi rompono gli indugi e, anche perché “obbligati” a vincere dal piazzamento finale nella “regular-season”, mettono alle corde gli avversari che, così come negli altri due incontri disputati nell’anno, dimostrano una buona difesa e la propensione all’incasso molto spiccata. Non appena infatti il Savoia, spinto dalla sua generosità e limitato dalle carenze sulle fasce laterali di cui sopra, si distrae, viene infilato da un fulmineo contropiede e la partita praticamente termina. I volti rigati dalle lacrime di parecchi tifosi sono una cosa toccante, ben più di una consolazione, una esaltante “performance” è invece il modo civile e composto con cui viene accolto il verdetto del campo: i tifosi hanno capito che i propri beniamini hanno dato il massimo e li ringraziano lo stesso con uno scrosciante applauso all’apparire di uno striscione a centrocampo in cui i giocatori li salutano. “Siete fantastici” dice il cartello, ed è proprio vero. L’epilogo sfortunato dello spareggio di Roma sembra compromettere un pò tutto, il giocattolo costruito dai Moxedano sembra rompersi tra le loro mani. Malgrado i propositi di vittoria, il campionato seguente, il terzo dell’era Moxedano, non può essere classificato alla stregua negli altri due. Mario e Salvatore allestiscono una squadra, cioè, che è sicuramente inferiore alle precedenti. Partono De Rosa e Carruezzo per lidi più prestigiosi, e nessuno sinceramente se ne lamenta: i giocatori avevano il diritto di misurarsi a più alti livelli, viste le loro doti ed il campionato strepitoso che avevano disputato. I sostituti però non sembrano all’altezza, Marin e soprattutto Marsich lasciano molto a desiderare e, quando poi, a metà campionato, anche l’altro pilastro della squadra Marasco, viene ceduto alla Reggiana e sostituito da un pachidermico , si intuisce che difficilmente si potrà ritentare la scalata alla serie B. Al di là dei limiti dell’attacco presente sono in Califano e che inutilmente si cercherà di migliorare sostituendo con Balesini, un centroavanti che mai vede la porta, neanche su rigore, ed immettendo un Martorella che solo occasionalmente fa vedere di cosa è capace (per esempio con il Casarano in casa ma soprattutto a Nocera, quando segnerà un gol prezioso ed all’ultimo minuto: che gioia contro gli “odiati” molossi!), è il centrocampo che non funziona: il trio Cecchi, Dolcetti e soprattutto Signorelli, seppur sorretto da un D’Antimi sempre generoso ma non più da Ambrosino, vittima di una fastidiosa pubalgia che lo fa giocare poco e male, non riesce a dare gioco alla squadra che inanella una serie impressionante di pareggi, soprattutto casalinghi, che l’allontanano dalle zone alte della classifica. Alle difficoltà di natura tecnica si aggiungono quelle dovute alla mancata disponibilità del campo di gioco: anche il “S.Paolo” viene spesso negato al Savoia a causa della concomitanza delle partite casalinghe con il Napoli che viene a verificarsi per i supplementari che la Nazionale è costretta a fare per classificarsi per il Mondiale di Francia, cosicchè si gioca spesso di lunedi (con la Ternana ad esempio) o al “S.Ciro” di Portici (molto peggiorato nel manto erboso rispetto a qualche anno prima), al “Giraud” quando, con l’Ascoli si arriva alla “comica” delle porte troppo basse per cui i pali vengono estratti dal terreno e ripiantati prima dell’inizio della partita o addirittura a Foggia, campo neutro per la partita con la Juve Stabia, o ad Agropoli, ma senza pubblico per ordine del Prefetto, per la partita con l’Ischia. Si può ben dire quindi che è già un miracolo se la squadra, già in partenza mediocre, arriva a non disputare i Play-out ed a salvarsi con qualche giornata di anticipo. In seguito alle tante vicissitudini attraversate affiora anche un certo nervosismo tra i tifosi, stanchi per il perdurare della mancanza dello stadio cittadino e non più esaltati dalle prestazioni della squadra, e la dirigenza. Qualche parola fuori posto vola, ma per fortuna il campionato finisce ed i fratelli Moxedano per primi si mettono all’opera per fare un grande Savoia. Alla presentazione d’estate, sull’arenile pubblico, quasi mille persone aspettano i giocatori per salutarli e toccarli con gli occhi prima del quarto campionato dell’era Moxedano. Il fiuto dei tifosi ancora una volta non sbaglia, si parte per l’avventura più esaltante della storia recente del Savoia, anno di grazia 1998/99….