I favolosi anni ’60

Popolato di case il Formisano, vincendo ogni remora e trascendendo ogni nostalgia che non fosse semplicemente sportiva, scomparso un campo ricomparve il Savoia. Timido, peregrinante per campetti e pascoli del vicinato. Arcangelo Arpaia, Michele Caso, Alfonso “fummetiello” Genovese, Giovanni “testolina” Di Gennaro e altri, da Matuozzo allo stesso sindaco Monaco, a costo di sacrifici inenarrabili mantennero in vita un undici di piccoli eroi, una maglia, una tradizione e un onore. Non è retorica. E’ appena riconoscere a un manipoletto dei quali sarebbe irriguardoso ricordare un solo nome per non scalfire un merito, un pregio di tutti e spartire una riconoscenza che ha da essere totale, più nobile se non si particolareggia. inaugurazione-comunaleCome fu e come non fu, si allestì il Comunale, il campo attuale. E il Savoia riprese la rincorsa. La folla dapprima si raggruppò, a piramidi, attorno alle reti, poi ripopolò gli spalti costruiti alla svelta. Riesplose il tifo. Una squadretta costruita per tener fede a un colore, divenne – portata al color bianco di un entusiasmo, una voglia di rivalsa, un’urgenza di recuperare tradizioni e prestigio – occasione di un titolo, significativo di costume e reverente di meraviglia, sui giornali di tutta Europa. Capitò che via facendo tra i “dilettanti”, e Lello Pagano imperando e impazzendo, dapprima si prelevò dal Livorno Costanzo e Colucci, un duo di difensori che consolidò un pacchetto arretrato alquanto pericolante: fu una volata. E non era tutto per risalire in quarta serie. Bisognava disputare le finali. Al San Paolo di Napoli. Dove mille, duemila, cinquemila spettatori erano mosche poste su un vassoio. Mancava ancora qualcosa al Savoia dominatore assoluto nel suo girone. savoia63-64In porta c’era Piccolo, e di seguito: Colucci, Costanzo, D’Alterio, Milano, Busiello, Rovani, Palumbo, Tortora, Rana. Mimì Busiello, la volpe, Palumbo, il cursore, Rovani, l’imprendibile. Tortora il framboliere. Mancava qualcosa al Savoia. Ecco, mancava Padovani Roberto. Lo spilungone che Viani aveva classificato tra i primi cinque migliori centroavanti italiani. Un infortunio alla caviglia aveva stroncato il morale del patavino. Era stato nella Spal, nell’Alessandria, conteso da squadroni, ed ora si dannava, sconfortato, l’animo a pezzi. Una telefonata di Pagano. L’invito a prendere un aereo. Roberto a Torre. Alla vista di un pallone si risanò di ogni malanno e di ogni male. Torre riesplose di entusiasmo. Folleggiò insieme con Roberto in campo. Una giraffa che aveva ripreso il gusto e il vezzo di scorazzare per i prati, incurante di avversari, pensando al gol, a quell’istante di emozione unica che sa dare un gol. Specie a uno che di gol si era nutrito. Allenatore Bruno Pesaola, il Savoia si presentò alle finali forte di pronostici e delle migliaia di sostenitori suoi e di quanti ne aveva, a Napoli e altrove, acquisiti per simpatia, curiosità, affetto. Finali al cardiopalmo. tifosi-a-napoliIl S.Paolo si macchiò, quand’era di scena il Savoia, di 25 mila spettatori. Una squadra “dilettante”. Fu lo stupore anche dell’Inghilterra, che alle pazzie del calcio è vaccinata….
E’ da dire che quelle finali furono ripetute in quanto, dopo la prima serie di incontri, Savoia, Cavese e Caivanese chiusero con lo stesso punteggio. Il Savoia battè la Caivanese che però si rifece con la Cavese, per cui nell’ultimo incontro con quest’ultima poteva bastare anche un pareggio per vincere il gironcino. Pareggio che era abbondandetemente alla portata dei torresi. Ma il calcio è tanto bello perché imprevedibile, sicchè sul finire del primo tempo che le due squadre stavano noiosamente portando a termine, un manrovescio fortuito dell’arbitro si abbattè su Colucci che, anche perché sorpreso, stramazzò al suolo. Pesaola, che forse il contratto già firmato con il Napoli spingeva a concludere al più presto la pratica “dilettanti”, ebbe la geniale idea di ritirare il giocatore dal campo, essendo convinto di vincere la partita a tavolino. La Cavese non sembrava essere un avversario che meritasse tanto rispetto da parte del Savoia, ed oltretutto le carte federali non sembravano prevedere casi simili. Sta di fatto che l’accaduto innervosì enormemente atleti in campo e pubblico sugli spalti tanto che l’intervallo fu un vero e proprio esplodere di violenza con tifosi che ruzzolavano dalle gradinate e scazzottature a non finire. Da sempre non c’era del tenero tra cavesi e torresi, e la circostanza lo confermò. Al ritorno in campo, poi, un Savoia in dieci, narcotizzato dalla prospettiva della vincita a tavolino della partita ed investito dal sacro furore degli avversari, in poco tempo venne infilato per quattro volte. Si profilava una debacle, quando l’orgoglio della squadra di razza prese il sopravvento e in poco meno di dieci minuti furono rifilate ben tre reti agli avversari. Che non capitolarono più solo per le prodezze del portiere, tale Abbate, ex del Savoia che, ricordo, parò una “bomba” di Tortora proprio allo scadere, andando a prelevare il pallone all’incrocio dei pali. Il 4-3 finale riazzerò tutto in quanto il Savoia non ebbe la partita vinta. A farne le spese fu comunque Pesaola che venne sostituito dal duo Spartano-Lopez proprio in occasione della ripetizione delle partite. Queste non ebbero alcuna storia, il Savoia confermò la sua superiorità schiacciante, irridendo gli avversari alcuni dei quali, appunto perché manifestamente impotenti, si lasciarono andare anche a gestacci volgari verso il pubblico, come quello di abbassarsi i pantaloncini a mò di sfida compiuto da Carmine Tascone, rissosa mezz’ala della Caivanese che l’anno appresso, approdato a Pozzuoli, si rese ancora protagonista di spiacevoli provocazioni nei confronti dei torresi.
spartano-lopezCon la vittoria del S.Paolo il Savoia approdò in serie D ed incominciò l’era di Spartano e Lopez, un duo di allenatori tanto diversi da complementarsi perfettamente. Compassato, cervellone, tattico il primo, un vulcano in eruzione il secondo. Sintetizzavano due idee di calcio, quella di Bernardini da sempre estimatore del calcio giocato, cioè del gioco di attacco, delle belle trame, dello spettacolo insomma non disgiunto mai però dal risultato: il suo Bologna di Bulgarelli, Nielsen, Janich ed Haller ne era il fedele interprete; e questo era Spartano, mentre Lopez era un Herrera in sedicesimo, tutto scatti e incitazioni, portato più al risultato ad ogni costo che all’estetica. Era chiaro che dai due, o nasceva uno squadrone, oppure ci si dovevano attendere litigi in continuazione. Ma l’amicizia tra i due tecnici, entrambi trapiantati da parecchio a Castellammare ed entrambi soprattutto allenatori delle giovanili e quindi anche fini intenditori della psiche dei giocatori ma soprattutto amanti sinceri del Calcio, era tale che mai uno screzio fu avvertito o perlomeno mai trapelò dagli spogliatoi. Questi erano Spartano e Lopez. savoia64-65Quell’anno, in serie D, appunto, fu anche per questo ancora promozione, con una squadra che aveva mantenuto pochi atleti della precedente, Busiello, Palumbo, Milano e Padovani, ma che, grazie soprattutto alle conoscenze del calcio veneto da parte di quest’ultimo, si completò magnificamente in una corazzata quasi invincibile. Dall’Avellino si prelevò un terzino roccioso ed esperto come Da Dalto, ma poi fu tutto un arrivo di veneti, da Bertossi e Biasin (terzini) a D’Apollonia (stopper elegante e poderoso) e Boesso (un portiere con un fisico tutt’altro che di portiere), da Berlasso e Mazzotti (due ali imprendibili, più di raccordo il primo, imprevedbile e fromboliere il secondo) e poi anche Franzini, un piccoletto che completò la “banda Bassotti” di centrocampo assieme al “cervellone” Nardi, arrivato un po’ più tardi. Padovani partì inizialmente da centroavanti, ma gli anni e gli acciacchi lo richiamavano sempre più in rifinitura, per cui si pensò di affiancargli un uomo-gol. Dalla Fiorentina arrivò allora Paolone Rossi, un “armadio” dalla generosità enorme che fece un gran lavoro per Roberto ma che di gol riuscì a segnarne veramente pochini. Divenne comunque in breve un beniamino del pubblico, sino all’epilogo dell’autorete al Flaminio con il Nardò che altrove viene ricordata. boessoQuella squadra, partita al solito per salvarsi, comincò ad inanellare risultati su risultati, sfoderando un gioco piacevole e rude al tempo stesso, portando il suo portiere, appunto Gaspare Boesso, a battere il record di imbattibilità con più di 1000 minuti senza subire reti, battagliando su tutti i campi con ardore ed efficacia, sempre sorretta da un pubblico che ormai si era rinnamorato della sua squadra e che, nelle trasferte “terribili”, tipo Battipaglia o Pozzuoli o Nocera, dimostrò il suo amore a suon di scazzottature con le tifoserie avversarie. Epico l’incontro che il Savoia stava conducendo a Pozzuoli per uno a zero sino ad un quarto d’ora dalla fine, quando l’arbitro, molto intimidito dal pubblico, concesse un rigore ai padroni di casa che quel matto di Boesso riuscì a parare, consolidando il suo primato di imbattibilità. La reazione del pubblico di casa fu talmente violenta che buona parte dei tifosi torresi pensò bene di andarsene prima della fine della partita, evitando di essere oggetto troppo facile di pietre, insulti e quant’altro potesse provenire dagli avversari. La circostanza, dolorosa ma da mettere in conto, consentì alla squadra di ritrovare serenità ed equilibrio e di vincere il campionato a mani basse, malgrado l’opposizione di Paternò prima e Massiminiana poi, quest’ultima guidata da un centroavanti dalle movenze e caratteristiche di un ‘saladino’, tale Anastasi che doveva diventare una bandiera della Juve prima e della Nazionale poi per tanti anni.
Il ritorno in serie C risveglia sempre più vecchi entusiasmi ma richiama anche nuovi appetiti. Il calcio sta mutando fisionomia, le bandiere, se riconosciute tali, quali Rivera, Mazzola, Corso, ecc. impongono le loro personalità. Il tempo dei giocatori semianalfabeti ma dai piedi vellutati è sempre più un ricordo. Altafini “taglieggia” il Milan, grazie a zio Mascheroni che dal Brasile fa sapere a Viani di non accettare l’ingaggio propostogli e che quindi se ne sta a casa: il Milan faccia come gli pare, lui non cede. Il Milan per un buon periodo sostituirà il campione consacrato con un giovane dalle belle speranze e dal fiuto del gol, Ferrario, che lo porterà anche in testa alla classifica, ma poi non regge la sfida dell’Inter di Herrera ed alla fine richiama Altafini. E’ calcio di serie A, certo, ma l’episodio è sintomatico del periodo che si sta vivendo: il calcio sta cambiando, occorre managerialità ed efficienza per dominarlo. E tanti, tanti soldi. Lello Pagano se ne accorge, e tenta un’operazione che in tanti tenteranno ancora e che non andrà, come le altre, a buon fine. Tenta cioè di costruire una società più grande, con un bacino di utenza più ampio e quindi con prospettive di crescita e consolidamento notevoli. Tenta addirittura la fusione con la Turris. Si chiamerà Torrea, la nuova società e farà concorrenza al Napoli, pensa, non si tratta che di costituirla! Ma l’avvocato ha fatto male i propri calcoli; se la cosa può anche stare bene agli sportivi di Torre del Greco che non hanno una squadra ed una società impegnata a grossi livelli e soprattutto hanno una storia molto recente, non può stare bene a quelli di Torre Annunziata, che hanno una storia a cui guardare alle spalle e in due anni hanno conquistato ben due vittorie in campionato: opportunismo e tradizione impongono la tenuta delle distanze. E poi, il Savoia non si deve toccare, qualsiasi squadra si faccia, si deve chiamare Savoia. Monta quindi un malcontento generale che porterà inevitabilmente all’accantonamento dell’idea; la nuova società muore prima di essere costituita! Allora Lello Pagano chiama al capezzale della società il cognato, Faraone Mennella, ricco costruttore edile che lo dovrà supportare economicamente. Questi lo fa ma non appena le cose non vanno troppo bene per la squadra messa su con tanti sacrifici ed i tifosi, impazienti rumoreggiano o lanciano monetine su di lui, abbandona la società sdegnosamente e lascia di nuovo solo il cognato Pagano alla guida di tutto. Questi episodi testimoniano di un’annata iniziata male che comunque si riuscì a raddrizzare per strada ma che alla fine si concluse in modo beffardo con la retrocessione. Si aggiunga che all’orizzonte appare lo spettro dell’Internapoli di Proto e De Gaudio e si completa il quadro. Ma andiamo con ordine. savoia65-66Il Savoia 65-66 si vede inizialmente privato del duo Spartano-Lopez alla guida tecnica e di Mimì Busiello, uno dei protagonisti della promozione, che passano appunto all’Internapoli che il Comm. Proto, lo scaltro De Gaudio e qualche quinta colonna di casa nostra intendono lanciare nell’agone regionale per contrastare nientemeno che il Napoli. Teatro delle gesta dei napoletani sarà il “Collana”, lo storico stadio del Vomero sul cui tappeto hanno giocato i miti Jeppson, Vinicio, Pesaola, Amadei. Dovranno rinverdire le gesta di questi campioni un manipolo di buoni giocatori, quali Massa, Wilson, Porro ed appunto Busiello e Germano Pietti, altro elemento strappato al Savoia, portiere di riserva di Boesso, ma delle potenzialità senz’altro superiori, non fosse altro che per il fisico da portiere che si ritrova e per l’età giovanissima. ll Savoia, pur accusando il colpo, allestisce comunque una squadra di tutto rispetto: conferma Boesso, ma gli mette vicino un signor portiere, Roi, proveniente dalla Nocerina, delle cui qualità tutti sono disposti a scommettere. Ha però un neo, molto grave, quello di essere nervosetto e attaccabrighe, soprattutto con gli arbitri. Queste due circostanze, la presenza di Roi quale ombra dell’amato Boesso e il carattere di quest’ultimo, alimenteranno polemiche nei tifosi e spaccheranno uno “spogliatoio”, già di per sè nervosetto e vedremo il perchè. La difesa, perduto anche D’Apollonia, viene comunque rinforzata con l’arrivo dal Genoa di Genisio, uno stopper che farà storia a Torre mentre il libero Milano, ormai sul viale del tramonto, verrà sostituito da Stucchi, in prestito dal Milan, via Passalacqua che vedeva il giovanotto molto bene e per questo voleva far fargli le ossa in un torneo duro come quello di C, così come aveva fatto con Pierino Prati, dato in prestito alla Salernitana. Bertossi e Da Dalto erano ancora i terzini , mentre il Busiello veniva sostituito da un autentico campione, Ferrari, giocatore proveniente dal Varese, dai piedi d’oro, come la sua capigliatura, ma non molto contento di stare a Torre. Altro acquisto importante, sicuramente sulla carta, fu quello di Inferrera, proveniente dall’Udinese, un funambolo alla Sivori che dell’argentino non aveva però la grinta tanto che quasi mai riuscì a dimostrare quello che sicuramente aveva in repertorio e spesso venne sostituito da Franzini prima ed addirittura Bodi, prelevato a campionato iniziato e già del Bologna e del Napoli, poi. espositoIn attacco rimasero Palumbo, Rossi e Padovani, ai quali si affiancò Mainardi, un’ala dal passato di serie superiore con il Perugia e un giovane dalle belle speranze, che fu l’autentica rivelazione del campionato, Ciro Esposito, ala mancina veloce e guizzante, “sponsorizzata” dall’allenatore in seconda, Antonio Giglio che lo aveva avuto già a Sorrento. Proprio “Tatonno” Giglio era uno dei due tecnici, ormai la diarchia era di moda in panchina, che sostituirono il duo Spartano e Lopez. L’altro era Blason, un friulano-veneto dal passato da portiere importante ma che già dall’inizio sembrò rappresentare più il passato che il presente. I due tecnici non erano come Spartano e Lopez, non andavano per niente d’accordo, soprattutto dal punto di vista tattico. Giglio era un teorico eccezionale, amava preparare le partite soprattutto alla lavagna, impostando tattiche che sulla carta erano perfette ma che sul campo, un po’ perchè il campo non è la lavagna, molto perchè una iella indiscussa doveva perseguitare squadra e tecnico per tutto l’anno, quasi mai portavano alla vittoria. L’altro invece era un tranquillo signore prossimo alla pensione che aveva vissuto un calcio romantico e scanzonato e che parlava solo di ardore, passione e sentimenti, mai di tattica. Per giunta prediligeva il “gragnano” all’acqua minerale! Ne venne fuori che, iniziato il campionato in modo disastroso, con due sconfitte, di cui la seconda, con il Trapani, addirittura conclusa pro-forma in seguito al lancio di una pietra che colpì un segnalinee che dovette quindi lasciare il campo, venendo sostituito da un arbitro locale preso dagli spalti, Blason fece le valigie e la guida tecnica venne affidata completamente a Giglio. Giglio raddrizzò la squadra, la fece giocare in modo razionale soprattutto in casa, ma che o per scalogna (è scorretto forse parlare in questi termini, ma perdere partite importantissime in casa di squadre fortissime quali Bari, Pescara, Avellino prendendo gol negli ultimi cinque minuti, dopo aver dimostrato di poter tenere testa agli avversari più titolati ed addirittura di meritare qualcosa in più di loro, cosa è?) o perchè una matricola è sempre una matricola, in tutto, nel comportamento sul campo così come nel rispetto da parte degli arbitri, non riuscì del tutto a risollevarsi dalle zone basse della classifica. Ma non sarebbe stata lo stesso retrocessione se negli ultimi tre incontri, di cui l’ultimo in casa con il Cosenza, si fosse riusciti a racimolare almeno un punto, per mantenere le distanze da un Nardò ormai del tutto spacciato e senza molta convinzione nell’inseguire. Accadde invece che ben sei punti di vantaggio furono recuperati dalla squadra pugliese che alla fine approdò ad uno spareggio cui non osava nemmeno sperare. E si sa come vanno queste cose, la squadra che miracolosamente acciuffa un risultato, si galvanizza oltremodo, almeno quanto si demoralizza la squadra raggiunta; in quella occasione il Savoia, malgrado giocasse una buona partita al Flaminio di Roma, mettendo in mostra un Esposito eccezionale e sfiorando più volte la vittoria, si vide condannare da un’autorete del suo centroavanti, Paolone Rossi che, in barriera deviò un tiro di punizione che spiazzò completamente Roi e si infilò beffardamente in rete. A nulla valsero gli attacchi dei bianchi per riacciuffare il risultato. A Rossi l’impresa di metter la palla nella rete giusta non riuscì, malgrado ripetuti tentativi, la grande prova di Esposito servì solo da consolazione: il Savoia era di nuovo in D ed il Nardò di Nedi e Tajano (due acquisti del Savoia degli anni a venire) rimaneva in C.
La retrocessione dalla C fa piombare il Savoia in una crisi societaria molto seria. Lello Pagano, ormai non più supportato dal cognato e dalle risorse economiche non certo consistenti, lascia il campo e viene sostituito alla dirigenza da un gioielliere di S.Giuseppe trapianto a Torre, con negozio di fronte al Carmine, dalla buona consistenza patrimoniale, ma non certo industriale, né magnate. E’ la passione per il calcio che lo spinge a diventare Presidente del Savoia ed anche la vicinanza di tante persone amiche che gravitano nell’orbita del Savoia, come Sandro Farinelli e l’avv. Prisco, che però passione e signorilità non riescono a convincerli ad assumere per loro la massima carica. Resta il fatto che la sfida all’Internapoli la porteranno soprattutto questi personaggi, e sarà una sfida tremenda e destinata al fallimento. La squadra napoletana infatti, non essendo riuscita, malgrado il fatto che avesse pescato a piene mani dal Savoia, a vincere il campionato di D, ritentò la scalata con rinnovato impegno, allestendo una squadra ancor più forte di prima e restituendo ai torresi il duo Spartano-Lopez ed il portiere Pietti. Il Savoia da parte sua, riparte con il duo in panchina ma pesca sempre in Veneto atleti come Nazzi, terzino-bomber, e Furlan, un centrocampista molto di quantità ma alquanto disordinato. L’organico è completato da atleti che faranno ancora epoca a Torre e cioè: Canetti, un mediano inesauribile, Di Mauro, ex Napoli ed ex Internapoli, libero dal rendimento eccezionale, tempista e preciso, una fotocopia di Armando Picchi, Matteo Carnevale, mezza punta dal fisico possente e dalla classe cristallina e Piero Santin, friulano del salernitano, colonna della Nocerina e protagonista, proprio nella partita con l’Internapoli a Torre, di un episodio rimasto negli annali del Savoia calcio. Si era quasi all’epilogo di quella sfida che al Comunale doveva costituire il match-clou di tutto il campionato, quando, in un’azione di contropiede, su di un lancio proveniente dalle retrovie, il buon Piero riuscì ad intrufolarsi tra il libero Wilson ed il portiere senza però riuscire a raggiungere la sfera con le parti consentite del corpo. Vistosi superato dal pallone, alzò furbescamente un pugno e colpì lo stesso la sfera che rotolò in rete senza che l’arbitro, sorpreso dalla rapidità dell’azione e molto lontano dalla zona del misfatto, riuscisse a vedere. Restano ancora negli occhi i gesti di disperazione di Wilson, futuro libero della Nazionale di Valcareggi con l’ariete Chinaglia nel mondiale sfortunato del 1974 in Germania, e compagni ed il loro prodigarsi verso segnalinee ed arbitro perché annullasse la rete. Non ci fu verso, forse anche perché allora il pubblico riusciva effettivamente ad incutere paura nelle terne arbitrali. Fatto sta che la partita finì 1-0 per il Savoia, con grandi festeggiamenti a fine partita e grande soddisfazione per aver gabbato l’avversario, che però riuscì lo stesso a vincere il campionato, relegando un Savoia brillante e spumeggiante in non poche partite durante il campionato nella posizione di rincalzo e quindi ancora in serie D. Ma la serie C doveva rimanere un miraggio per ancora qualche anno, anche per altri Savoia tanto forti quanto sfortunati nell’incontrare autentici squadroni. savoia68-69E’ il caso del Savoia affidato all’indimenticabile Avv. Giuseppe Prisco, con deus ex-machina però l’Ing. Decina, prima, e rampanti manager o aspiranti tali indigeni poi, potenzialmente fortissimo ma sempre preceduto da squadre appena appena più tranquille economicamente oltre che molto forti. Così, o il Matera di Ventura o il Sorrento di un tal Bruscolotti dovevano lasciare la squadra torrese al palo, mentre all’orizzonte compariva la stella di un’altra rivale storica del Savoia, la Turris. Protagonisti di quegli anni furono Simonaggio, centrocampista dal passo e le sembianze del panzer tedesco e Magagnotti, un “atipico” presentato come centroavanti che “è in grado di fare i gol già dallo spogliatoio” a detta del buon rag. Giordano, ma poi rivelatosi più un centrocampista dai piedi buoni, ancorchè dalla tenuta ridotta. In panchina, una volta spezzato il legame che sembrava indissolubile, si alternarono prima Spartano e poi Lopez, sino a quando, appese le scarpe al classico chiodo, non ci provò lo stesso Santin che doveva rivelarsi, ma non al Savoia, un ottimo tecnico, tanto da portare la Cavese quasi in A qualche anno dopo e di arrivare lui stesso ad allenare il Napoli, prima dell’avvento di un certo Rudy Krol, nella massima serie. Altre figure del periodo sono il terzino Viganò, logicamente veneto, il centrocampista Doz, il “cavallo pazzo” Orsi, prelevato dalla rivale Internapoli ed un trio di giovanotti che il Colonnello Russo doveva trasferire dalla Compagnia atleti dell’Esercito al Savoia retto sul finire degli anni ’60 dai suoi fratelli Giovanni e Giuseppe, e cioè Bonfanti, non confermato negli anni seguenti, e Griffi ed Eco, colonne del Savoia dei primi anni ’70.





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