Savoia, tre sillabe d’amore. Un legame profondo, viscerale, congenito che tiene stretta la squadra di calcio di Torre Annunziata ai propri tifosi. Un amore che resiste da più di un secolo, che ha coinvolto famiglie e generazioni, che ha regalato gioie ma anche dolori, che vive giorno dopo giorno, che non si limita ai novanta minuti di una partita, che si nutre e cresce spasmodicamente fino ad esplodere ad ogni fischio d’inizio. Cori, slogan, striscioni, manifesti, cortei, bandiere, sciarpe, trombe, tamburi, carovane, epiche trasferte: le testimonianze indelebili di una passione che va al di là di un “normale” tifo per una squadra di calcio. Il Savoia è parte dei torresi, anche di quelli che non amano il calcio, trasmessa geneticamente, impressa nel DNA, perché “è una passione che si tramanda di padre in figlio. Una sorta di “epidemia ereditaria” che contagia tutti, senza distinzioni di ceto, età e sesso”, come abbiamo scritto nella prefazione del nostro libro, “Savoia storia e leggenda, dall’Oncino al Giraud”.
Una storia, una bella storia, che nasce nel lontano 1908.
Il cavaliere Ciro Ilardi, industriale della pasta, capeggia un gruppo di imprenditori locali, riuniti nel cinema teatro “Savoia”, concesso gratuitamente dal proprietario Nicola Corelli, per fondare il primo club sportivo torrese: l’Unione Sportiva Savoia.
L’affiliazione alla FIGC arriva sette anni dopo, grazie all’entusiasmo del nuovo presidente Giusti. Malgrado le vicende belliche tengano tutti con il fiato sospeso (l’Italia è entrata in guerra il 24 maggio) il 21 novembre è la data della prima gara dopo l’affiliazione. Si gioca al Campo di Marte, a Napoli, contro il Vito Fornari.
Bastano pochi anni per diventare protagonisti della scena nazionale. L’U.S. Savoia arriva a giocare la finalissima per l’assegnazione dello scudetto contro il fortissimo Genoa di Garbutt, già detentore di otto titoli. E’ la stagione 1923-24. Il punto più alto di tutta la storia del club torrese. Poi una serie infinita di emozioni. Vittorie, sconfitte, trionfi, promozioni, retrocessioni, crisi societarie, rinascite, un susseguirsi di vicende che hanno tenuto sempre viva la passione di una delle tifoserie più competenti e numerose della Campania e non solo.
Una storia narrata da innumerevoli scrittori e giornalisti, inviati speciali e corrispondenti. Tra i tanti vorrei ricordare alcuni maestri, Arnaldo Alfani, Franco Correale, Leonardo Sfera, il mio primo Direttore, Pasquale D’Amelio e i colleghi che ci hanno lasciato prematuramente, Silvestro Di Maria e Catello Coppola.
Le immagini più nitide del recente passato sono davvero tante. A partire dagli anni settanta, quando mio padre mi portava allo stadio “Comunale” con mio fratello, ed in campo scendevano i vari Boesso, Crocco, Pappalettera, Peressin, Malvestiti, Busiello, Villa che conquistavano la serie C. La squadra che vinse a mani basse il Campionato di Promozione (1974-75) con il corteo “funebre” finale del mitico “Pilione” per salutare la Scafatese, ostica rivale.
L’avvento del presidente Franco Immobile e la scalata alla serie C2 con tanti calciatori che hanno lasciato un ricordo indelebile: Agostini, Bacchiocchi, Cafaro, Carrozzo, Francioni, Gobbetti, Gregori, Maresca, Montresor, Natale, Oppezzo, Peviani, Pierini, Qualano, Riso, Sulli, Valeri, Valsecchi, Vesce e Vianello.
Il purgatorio dell’Interregionale durato nove lunghi anni per riveder “le stelle” nell’anno dei mondiali, il 1990. Con quella straordinaria partita allo stadio “San Ciro” di Portici contro il Praia. La famiglia Farinelli, Pasquale, Luigi ed Umberto, portata in trionfo per le vie della città.
La marcia verso la C1 con Gigi De Canio in panchina, la promozione in serie B con Osvaldo Jaconi sotto la regia della famiglia Moxedano. Un altro capitolo memorabile. La gioia di vedere al “Giraud”, ristrutturato ed abbellito, squadre come il Brescia, l’Atalanta, la Sampdoria, il Genoa e tanti allenatori e calciatori illustri. Poi il buio, il lento declino, le rinascite, la sopravvivenza. Il miraggio di Lazzaro Luce, il ritorno in Lega Pro e la delusione del fallimento. Il resto è storia di oggi.
Il Savoia, malgrado i 110 anni, è vivo e vegeto con una grande voglia di ritornare nel calcio che conta.
In fondo se lo merita.
Auguri vessillo biancoscudato, buon compleanno!
(Giuseppe Lucibelli)